Secondo il primo Rapporto globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sulla prevenzione del suicidio, nel mondo muoiono per questa causa oltre 800mila persone ogni anno, una persona ogni 40 secondi. La relazione, pubblicata ieri, giovedì 4 settembre, a Ginevra, frutto di dieci anni di ricerche e dati da tutto il mondo, precede di una settimana il World Suicide Prevention Day, ricordato il 10 settembre di ogni anno, e spiega come il suicidio sia diventato un fenomeno globale.
Colpisce persone di ogni età in tutto il mondo, dagli over 70 ai giovani compresi in una fascia d’età che va dai 15 ai 29 anni e secondo le stime gli uomini, generalmente quelli che hanno raggiunto i 50 anni, sono più vulnerabili delle donne.
Attraverso un’attenta analisi e comparazione di dati, l’Oms è stata in grado di produrre un quadro globale del fenomeno, strutturato in sei aree di interesse: la regione aficana, in cui negli ultimi anni si è riscontrato un incremento del fenomeno del 38%; le Americhe, in cui il Guyana ha attualmente il più alto tasso di suicidi; la zona mediterranea, che ne detiene una bassa percentuale; l’Europa, di cui sei paesi, come la Lituania e il Kazakistan, sono inseriti nella top 20 delle nazioni più colpite; il Sud-est Asiatico e le zone del Pacifico, in cui la Cina detiene il secondo posto della classifica e la Korea il terzo.
Anche se solo 28 Paesi hanno messo in campo delle strategie nazionali per combatterlo, l’Oms afferma che il suicidio è prevenibile.
“Questo rapporto presenta un quadro omnicomprensivo sul suicidio, sui tentativi di suicidio e sugli sforzi mondiali accreditati nel campo della prevenzione. Noi sappiamo cosa funziona. Ora è il momento di agire”, ha dichiarato il dottor Shekhar Saxena, direttore del Dipartimento di Salute Mentale e dell’Abuso di Sostanze dell’Oms.
Un metodo preventivo già adottato è quello di limitare l’accesso ai mezzi adottati per morire (quelli più utilizzati sono i pesticidi, le corde da impiccagione e le armi da fuoco), ma altre misure efficaci coinvolgono la responsabilizzazione dei cittadini mediante delle campagne nazionali e l’identificazione e la cura di persone affette da disordini mentali, derivati anche dall’abuso di droghe, le più a rischio. Dovrebbero essere eseguite, inoltre, delle cure supplementari dal personale medico, tramite chiamate o visite domiciliari, a coloro che hanno tentato il suicidio, poiché proprio loro hanno il più alto rischio di riprovarci.
“Non importa quanto avanti un paese è arrivato nella prevenzione del suicidio”- dichiara Alexandra Fleischmann, scienziata del Dipartimento di Salute Mentale dell’Oms-, si devono prendere misure efficaci, anche solo a livello locale e su bassa scala.”
I membri degli stati dell’Oms, nel “Mental Health Action Plan 2013-2020”, hanno posto come obbiettivo su scala globale la riduzione del tasso di sucidio del 10% in ogni paese entro il 2020 e il “Mental Health Gap Action” , lanciato nel 2008, ha come priorità proprio la prevenzione e la creazione di tecniche empiriche per gestire il fenomeno.
Il livello raggiunto in questo decennio lascia spazio a molti interrogativi e dibattiti, concatenati a tanti aspetti della nostra società: l’educazione, l’occupazione, il welfare e la giustizia, ma legati anche a una domanda che ancora oggi ha molteplici risposte: un atto di libertà e di autodeterminazione o semplicemente di puro egoismo?