Sopravvissuto alla durezza della prigionia durante la Campagna di Russia, Carlo Vicentini Ufficiale militare Alpino distaccato alla divisione Julia, combatté fino a metà gennaio 1943, quando con i resti del suo battaglione del Monte Cervino, venne catturato dai russi.
Micidiali prime fasi di prigionia nei lager dove morirono moltissimi italiani, circa mille dalla testimonianza di Vicentini nella prima fase, con durezza di trattamento nei campi organizzati, rieducazione politica antifascista e testimoni della morte di gran parte dei loro compagni. Alcune fasi raccontate da Vicentini: “Catturati, messi in fila a marciare nelle retrovie durante la ritirata, senza cibo, percorrendo a piedi oltre cento chilometri, chi non resisteva, passato immediatamente per le armi. Raggiunti i treni, stipati nei vagoni bestiame, anche cento persone, tutti ammassati in piedi, ogni tanto veniva buttato da un portellone qualche pagnotta che non bastava a sfamare tutti . Il campo di prigionia per ufficiali dopo il 1943, era migliorato rispetto alle condizioni iniziali, senza obbligo di lavoro per gli stessi, che comunque sia decisero volontariamente di andare a lavorare per mantenere contatti con la popolazione ed avere cibo a sufficienza per sopravvivere.”
Un toccane aneddoto della prigionia di Vicentini, reperito dalle testimonianze e ferita aperta di un passato eroico, è quando dopo la cattura un Commissario politico russo, schierati i prigionieri chiese loro di quale nazionalità fossero se italiana o tedesca. Vicentini non esitò e fece un passo in avanti dichiarando la propria nazionalità e anche quattro soldati tedeschi. A quel punto il commissario russo estratta la sua pistola nagant punto alla testa dei soldati tedeschi, ed uno ad uno ne giustizio tre, il quarto cercò di scappare ma gli venne scaricata una serie di colpi e venne ucciso, giunto davanti a Vicentini gli punto la pistola ma questa non sparò, in quanto aveva esaurito i colpi a quel punto indignato il commissariò sbatté la pistola a terra e vicentini fu miracolosamente salvo. Il giorno seguente venne colpito dallo stesso commissario con un calcio di fucile sul volto che gli provoco la rottura dei denti anteriori.
Gli anni di prigionia durarono fino al ‘46, i prigionieri venivano definiti “uomini cavallo” perché per lo più lavoravano nei boschi a caricare legna, nelle fasi finali vivevano nei villaggi contadini con contrappelli giornalieri. Successivamente trasferiti ad Odessa sul Mar Nero, vennero tenuti per oltre 25 giorni in attesa di una nave italiana che non arrivava mai, il crollo emotivo era fortemente accentuato, vennero rinchiusi nuovamente per tre giorni nei vagoni bestiame e trasferiti verso nord, successivamente verso i Carpazi, in Ungheria per 20 giorni, arrivati al confine con gli alleati sull’Elba dal campo di prigionia tre riuscirono a scappare e raggiungere Vienna, dove presero contatti con le autorità italiane che successivamente li fecero trasferire a Tarvisio e dopo tre giorni a Roma.
In conclusione dei 95.000 prigionieri italiani, solo 10.000 arrivano in Italia.