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    Attacchi New York: sfida decisiva per la presidenza Usa

    Un attacco alla Sicurezza nazionale, registrato alla fine della campagna elettorale per il nuovo presidente degli Stati Uniti, è sempre un banco di prova importante, ma una bomba a Manhattan, colpita di nuovo dopo 15 anni esatti da quell’11 settembre, è la sfida politica per eccellenza.
    L’esplosione è avvenuta domenica 18 settembre alle 20.30 ora locale (alle 2.30 in Italia), davanti alla sede della Associated Blind Housing di Chelsea, che offre accoglienza, formazione e altri servizi per ciechi presso la ventitreesima strada e ha causato 29 feriti, tutti fuori pericolo, ma il bilancio era destinato a salire grazie alla presenza di un secondo ordigno, inesploso e situato poco distante. Esso era costituito da una pentola a pressione, riempita con schegge e frammenti metallici, e aveva tratti in comune con quello detonato nel 2013, durante la maratona di Boston, in cui rimasero uccise 3 persone e ferite 176. Anche in questo caso l’esplosivo utilizzato era stato la tannerite, mentre come detonatori erano stati utilizzati vecchi cellulari a conchiglia e fili elettrici di decorazioni natalizie.
    Il caso ha assunto subito la piega di un attacco terroristico, anche se nessuna informazione è stata ufficialmente diramata o smentita. La polizia, tuttavia, ha fermato, dopo uno scontro a fuoco, un 28enne afghano, Ahmad Khan Rahami, naturalizzato americano, per interrogarlo su questo attacco, e su tutti gli altri che si sono succeduti in questi giorni. Si parla in particolare del ritrovamento di 8 ordigni vicino ai binari della stazione di Elizabeth, città natale del sospettato situata nel New Jersey, sulla tratta che collegava la Penn Station con Manhattan e l’aeroporto internazionale di Newark e dell’accoltellamento di 8 persone messo in opera da uno studente di origini somale, che ha attaccato sconosciuti in un centro commerciale a St. Cloud, Minnesota. Quest’ultimo è l’unico attacco rivendicato ufficialmente dall’Isis, via Anaq, subito dopo l’uccisione del giovane da parte di un poliziotto non in servizio. «Era un soldato dello Stato islamico, ha compiuto l’operazione per colpire i cittadini dei Paesi della Coalizione crociata» è stato diffuso dall’agenzia stampa dell’Isis.
    Nessuno si aspettava un ciclone di paura così ben coordinato, ma la rilevanza di questi attacchi non isolato ha destato l’opinione pubblica soltanto per il numero di feriti, ma anche per la vicinanza con la prossima Assemblea Generale dell’Onu, che oggi, 19 settembre, ha comportato l’approdo nella Grande Mela di 191 capi di stato.
    Donald Trump e Hillary Clinton, rispettivamente i candidati per il partito Repubblicano e Democratico, hanno presentato sempre opinioni divergenti e posizioni in netto contrasto in ogni materia di discussione, e anche davanti a questo segnale d’allarme hanno risposto e agito in maniera differente. L’umorale e istintivo Trump ha subito commentato: «E’ una cosa terribile quella che sta succedendo nel nostro mondo, quello che sta avvenendo nel nostro Paese, dobbiamo essere tenaci, intelligenti e vigili. Metteremo fine a tutto questo». Nonostante al momento delle sue prime dichiarazioni non fosse ancora circolata alcuna notizia, il candidato già parlava dell’esplosione di una bomba, per questo molti vi hanno scorto una strategia politica pilotata per condurlo alla vittoria, grazie alle sue politiche sull’immigrazione e sulla battaglia al terrorismo.
    Dall’altra parte, la razionale e controllata Hillary, ha subito placato gli animi, proclamando una fiducia salda verso chi è a capo delle indagini: «Prima di giudicare dovremo capire meglio cosa è successo, avere informazioni precise, capire i moventi di queste persone, capire chi si cela dietro questi incidenti. Dobbiamo essere vicini alle vittime. C’è una indagine in corso, siamo in contatto con diversi funzionari della polizia e vedremo cosa ci diranno. Potremo dire di più quando conosceremo i fatti. Credo sia importante conoscere i fatti prima di tutto, soprattutto quando ci sono incidenti come questo».
    In vista delle prossime elezioni sarà questa la chiave di volta che porterà uno dei due contendenti alla vittoria, perché ogni americano voterà non solo in base alle politiche economiche proposte, all’integrità e ai valori etici, ma anche, e soprattutto, sui piani per la sicurezza più efficaci. Hillary ha il controllo e la presa salda di chi ha già vissuto situazioni simili e sa come agire per il meglio: ha l’esperienza dell’11 settembre e quella da Ministro degli Esteri durante l’ultima presidenza Obama, Trump ha l’empatia e l’impulsività di chi non si è mai avvicinato alla politica in prima persona, ha un comportamento che lo accosta ancor più alle reazioni di un americano medio, non esperto di politica estera o interna.
    L’America dovrà decidere al più presto su quale lato della storia vorrà sedere per i prossimi anni, ben consapevole, tuttavia, che molte delle decisioni prese oggi potranno influenzare anche le sorti della guerra nel Medio Oriente e il destino dei rifugiati.

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