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    Gli Oscar degli anti-Trump (e dell’errore)

    L’89esima edizione di questi Academy Awards, presentata dall’anchorman americano Jimmy Kimmel, si è tenuta all’indomani dell’elezione di un presidente molto lontano dal mondo di Hollywood e dal suo scintillio. Donald Trump, infatti, ha più volte comunicato tramite vari social media di non voler presiedere né tantomeno seguire la notte degli Oscar, mantenendo un prevedibile distacco dal mondo cinematografico della west coast, immerso nello scintillio dei suoi abiti, che tanto ha criticato la sua elezione nelle parole unanimi di Meryl Streep.

    Quest’anno, però, sono state messe da parte le polemiche dell’anno scorso sulla mancanza di candidati di colore. A rappresentanza del lento cambiamento che sta aprendo la cinematografia al tema dell’apertura ci sono anche i film in gara, che interpretano una nuova esigenza di raccontare la diversità come un valore e l’accoglienza come un potere. Come anche ricordato nel consueto monologo della presidente della commissione degli Academy Awards: «l’arte è universale, tutti i candidati sono legati gli uni agli altri dal filo di esperienze che mettono in scena».

    Poco prima dell’annuncio del vincitore del Miglior Documentario, è stata introdotta sulla scena anche la fisica afroamericana Katherine Johnson, una delle vere eroine che ha dato ispirazione per la realizzazione del film “Il Diritto di Contare”, una delle donne il cui nome è tanto sconosciuto quanto fondamentale per la corsa allo spazio dell’America. Un’altra, seppur sottile, testimonianza di quanto il tema della diversità riesca a unire un paese.

    Tra i momenti più dichiaratamente politicizzati c’è il primo monologo di Kimmel, che ha ammesso: «Siamo un paese diviso. Non posso riunirlo, ma se tutti noi dedicassimo un po’ di tempo a parlare con qualcuno con cui non andiamo d’accordo potremmo “rendere l’America grande di nuovo”». Ha poi aggiunto: «Voglio ringraziare il presidente Trump perché oggi gli Oscar non sono solo per bianchi. È successo l’impossibile quest’anno: dei neri hanno aiutato la Nasa ad andare in orbita e dei bianchi hanno salvato il jazz».

    Un’altra stoccata al presidente è avvenuta quando Kimmel, dopo una pioggia di caramelle sul pubblico, ha definito Meryl Streep “l’attrice più sopravvalutata degli ultimi 20 anni”, riprendendo le parole del Potus ma facendo partire una standing ovation dell’intera sala. Durante la serata, però, il presentatore ha deciso di uscire allo scoperto, mandando direttamente un tweet al presidente: “Hey, @realDonaldTrump, sei sveglio?”.

    Tra le esibizioni, oltre a quella di uno scatenatissimo Justin Timberlake che ha aperto la serata delle stelle e a quelle che hanno ricreato le colonne sonore di “Oceania” e “La La Land”, particolarmente significativa è stata quella di Sting, che ha cantato in onore di James Foley, reporter ucciso quest’anno dall’IS.

    Ed ecco, alla fine, tutti i vincitori: il miglior trucco è andato agli italiani Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini che hanno lavorato a “Suicide Squad”, i migliori costumi a “Animali fantastici e dove trovarli”, il miglior documentario al lungometraggio di 8 ore “OJ, Made in America” a discapito del nostrano “Fuocoammare”, il miglior montaggio sonoro a “Arrival” e quello per il sonoro alla “Battaglia di Hacksaw Ridge”, il miglior corto documentario a “I caschi bianchi”, i migliori effetti speciali a “il Libro della Giungla”, il miglior montaggio a “La Battaglia di Hawksaw Ridge”, la migliore sceneggiatura originale a “Manchester by the sea” e quella non originale a “Moonlight”. Passando all’animazione, il miglior film è andato a “Zootropolis”, e il miglior corto è andato a “Piper”, entrambi targati Disney.

    Per le categorie individuali, il miglior attore non protagonista è Mahershala Ali in “Moonlight”, la miglior attrice non protagonista Viola Davis in “Barriere”, il miglior attore protagonista è Casey Affleck, mentre la migliore attrice protagonista è Emma Stone, affiancata in “La La Land” dal migliore regista Damien Chazelle, il più giovane della sua categoria ad aver vinto un Oscar. “La La Land”, così, si è aggiudicato 6 statuette sulle 14 promesse, tra cui, oltre a quelle della Stone e di Chazelle, ci sono: migliore fotografia, miglior fotografia, migliore colonna sonora e migliore canzone.

    Particolari, sebbene per diversi motivi sono state le premiazioni per miglior film straniero, andato a “Il Cliente” di Asghar Farhadi e quella per il miglior film. Farhadi, non potendo essere presente alla cerimonia, ha infatti inviato un messaggio di protesta contro le nuove leggi sull’immigrazione: “Mi dispiace non essere con voi, ma la mia assenza è dovuta al rispetto per i miei concittadini  e per i cittadini della altre sei nazioni che hanno subito una mancanza di rispetto a causa di una legge disumana che ha impedito l’ingresso negli Stati Uniti agli stranieri. Dividere il mondo fra noi e gli altri, i “nemici”, crea paure e crea una giustificazione ingannevole per l’aggressione e la guerra. E questo impedisce lo sviluppo della democrazia e dei diritti umano in paesi che a loro volta sono stati vittime di aggressioni. Il cinema può catturare le qualità umane e abbattere gli stereotipi e creare quell’empatia che oggi ci serve più che mai”.

    Del tutto diversa è stata invece l’ultima premiazione, quella sul miglior film, frutto di una gaffe e dello scambio delle buste. Warren Beatty annuncia la vittoria di “La La Land”, ma già durante i ringraziamenti si capisce che c’è qualcosa di strano: il vero vincitore è “Moonlight” di Barry Jenkins. Cosa è accaduto? La società che gestisce i conteggi per la Academy ha aperto un’inchiesta, sebbene è lo stesso Beatty abbia spiegato: «Nella busta c’era scritto “Emma Stone per La La Land”, io ho cercato di temporeggiare, non stavo facendo lo spiritoso prima dell’annuncio». La serata, però, si è conclusa con ironia grazie al tocco di Jimmy Kimmel: «È colpa mia, sapevo che avrei rovinato tutto prima della fine. Buonanotte a tutti, prometto di non tornare più».

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