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    È Brexit: cause e conseguenze per il Regno (dis)Unito

    La Gran Bretagna ha scelto di abbandonare l’Unione Europea. La notizia è giunta nelle prime ore di stamani, 24 giugno, e rappresenta una svolta epocale per il paese e per l’Europa unita.

    Il premier David Cameron aveva indetto il referendum mantenendo fede a una promessa fatta in campagna elettorale, ma così facendo non si aspettava di mettere a repentaglio il proprio governo laburista e la stabilità dei mercati finanziari della City.

    La famigerata Brexit, che è stata raggiunta con appena il 51, 9% di voti, si potrebbe quindi raffigurare come una vittoria degli euroscettici d’oltremanica, guidati da un Nigel Farage che ha commentato: «Oggi è il nostro Independence Day, è arrivato il momento di liberarci da Bruxelles». Ma sarà davvero un successo?

    Sappiamo che la campagna dei favorevoli al Leave negli scorsi mesi è stata incentrata soprattutto sull’immigrazione e sull’autonomia politica, ma molti dei temi e dei numeri portati avanti da esponenti come l’ex sindaco di Londra Boris Johnson erano stati smentiti dalla stampa. Qual è stata allora l’argomentazione che è riuscita a sedurre la maggioranza dell’83,7% degli inglesi votanti?

    Sembra che sia stato proprio il senso di sovranità nazionale ad aver fatto convergere su out il voto di molti sudditi di Sua Maestà, che lamentano di non poter promulgare leggi autonomamente (la campagna del Leave aveva divulgato che il 74% delle leggi proveniva da Bruxelles) e di non poter espandere fino in fondo le proprie capacità economiche.

    Queste motivazioni, sebbene molto sentite, non hanno convinto proprio tutti: Londra ha votato in maniera compatta per rimanere nell’EU (69%), anche in virtù della grandissima campagna di propaganda per il Remain che ha invaso la città, ma anche e soprattutto per la consapevolezza che sono stati proprio quei cittadini europei a garantire lo sviluppo economico che serviva alla nazione negli ultimi 40 anni.

    Altri capisaldi del Remain sono stati la Scozia e l’Irlanda del Nord, di formazione storicamente filoeuropeista, che hanno subito dichiarato la propria contrarietà ai risultati della consultazione. «Noi siamo europei ‒ ha dichiarato il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ‒ e vogliamo rimanere nell’Unione, ora ci prepariamo al referendum per uscire dal Regno Unito». La stessa sorte sembra essere riservata all’Irlanda del nord che addirittura rilancia: potrebbe essere la svolta per la riunificazione dell’isola. Sembra che quindi, come primo effetto collaterale, la Brexit abbia posto le giuste basi per la dissoluzione di alcune regioni, la cui annessione al territorio nazionale ne era il presupposto per la stessa sovranità.

    Un’altra conseguenza non trascurabile è stato il crollo della sterlina sui maggiori mercati finanziari, attuatosi sin dall’una di notte, quando il suo tasso è sprofondato fino al -6% e il panorama del Brexit cominciava a farsi largo tra le opzioni realmente possibili. Nonostante due delle maggiori banche anglosassoni, Lloyds e Barclays, siano state declassate, la Banca Centrale Inglese ha dichiarato di essere pronta a mettere a disposizione 250 mld di sterline per sostenere questo tracollo. Non sappiamo, però, se questa manovra, alla lunga, sarà sufficiente.

    Diverso sicuramente sarà il piano del commercio, che non godrà più di agevolazioni se diretto verso l’Europa. Attualmente il commercio in valuta estera ammonta a 2 triliardi di euro all’anno e il 53% dello stesso viene impiegato in Europa, sarà quindi arduo trovare nuovi accordi in merito. Accordi che, dopo le dimissioni annunciate dal premier David Cameron, il nuovo primo ministro dovrà trovare con gli altri membri dell’Unione fino al termine dei 2 anni dall’attivazione dell’art.50 del Trattato di Lisbona.

    Il Referendum ha inoltre innescato una reazione a catena nel Vecchio Continente, sfociata nelle richieste di azioni analoghe in Francia, Italia e Olanda. Tuttavia dovremmo seriamente chiederci quali vantaggi ha  ottenuto e otterrà il Regno Unito da questa svolta amministrativa. Il welfare e i trattati instaurati durante questi 40 anni di permanenza nell’Ue sono stati spazzati via in una notte e ciò porterà sconvolgimenti soprattutto nella vita delle nuove generazioni, che, da figli della comunità europea, avevano voltato a favore del Remain.

     

    Giorgia Golia

     

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