Oggi, 20 marzo, si celebra la Giornata Mondiale della Felicità, promossa dalle Nazioni Unite e coordinata dal movimento no-profit “Action for Happiness”, per sensibilizzare sempre più paesi sull’importanza del diritto inalienabile alla felicità.
Uno di questi è anche l’Italia, che nel quarto “Rapporto Mondiale della Felicità”, presentato lo scorso giovedì 17 a Roma, è raffigurata come il 50esimo paese più felice al mondo dopo l’Uzbekistan e il Nicaragua. Il rapporto, realizzato tramite l’analisi di 156 paesi, non rivela nessuna tendenza nuova: in cima al ranking troviamo molte nazioni del Nord Europa, tra cui l’intera penisola scandinava, la Svizzera e l’Islanda, mentre alla base ci sono solo paesi dilaniati da guerre intestine e dall’economia incerta.
Tutte le misurazioni, condotte da un team di economisti, psicologi, esperti di statistica, salute e politiche di previdenza sociale, sono state prese in base a 6 punti chiave: il reddito pro capite, l’aspettativa di vita, il supporto offerto dalla comunità, il senso di fiducia verso le istituzioni politico- finanziarie, la libertà di pensiero e azione, la generosità (misurata in base alle donazioni a enti benefici).
Quest’anno, però, a differenza dei rapporti realizzati già dal 2012 al 2015, emerge un dato ben più significativo: un dislivello sociale tra paesi e regioni che possono beneficiare di beni e risorse e quelli che ne restano privi. Tutto ciò fa oscillare il punteggio della felicità percepita anche all’interno dello stesso paese.
L’insieme di questi grafici, numeri e proiezioni, mostra il progresso delle nazioni e ne analizza lo sviluppo a lungo termine, per questo sempre più paesi ne prendono visione e molti governi, almeno nei loro intendimenti, cercano di mettere in atto piani di sviluppo che possano permettere una scalata delle posizioni del ranking.
L’Onu, a questo proposito, insieme a “Action for Happines”, ha cercato di dettare alcune linee guida per il benessere individuale e planetario, concentrandosi sull’azione quotidiana che possa creare un pianeta più felice anche in tema di inquinamento fino ad arrivare a rivoluzioni governative in grado di istituire un clima di fiducia verso il potere centrale.
L’Italia, che ha perso lo 0.75% di felicità rispetto allo scorso anno, risulta godere di minor benessere rispetto a paesi in via di sviluppo come l’Uruguay (29esimo) e Trinidad de Tobago (43esima). Ma perché? I dati mostrano una grande aspettativa di vita nel nostro paese, ma che lascia spazio a fattori come l’alta percezione della corruzione e la distopia.
Quello che infatti ci distanzia dal modello della Danimarca e dei paesi nordici, che dominano la vetta della classifica è la presenza di uno Stato forte e assistenziale, un leviatano che garantisce una vita sostenibile e una prospettiva futura per i più giovani. Tutto ciò è contornato da un’identità comunitaria impareggiabile, che fa dell’associazione di individui un valore fondante e durevole.
Più che un cambiamento di governo, quindi, serve una rivoluzione di valori e di mentalità, che sappia riunire la popolazione alla ricerca di una felicità condivisa, che coinvolga il paese in un piano dalla lunga ma costante attuazione.
Giorgia Golia