Il 26 febbraio u.s., sei anni dalla scomparsa di Pietro Antonio Colazzo, agente dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna, AISE, che venne ucciso nel 2010, dai talebani nell’Hotel di Shahr-i-Naw di Kabul, in Afghanistan.
Di origini salentine, Colazzo abitava nella Città di Ladispoli, aveva studiato lingue orientali e parlava bene l’arabo e il dari. Di stanza da due anni a Kabul, era ufficiale di collegamento tra il nostro apparato di sicurezza ed intelligence e quelli del governo legittimo afghano. Ufficialmente era un consigliere diplomatico accreditato dalla Presidenza del Consiglio presso l’Ambasciata Italiana a Kabul, si pensava di lui fosse un sanitario.
I guerriglieri, infiltratisi nell’hotel, con granate ed armi automatiche, uccisero chiunque incontrarono nel loro cammino, Colazzo che era il più altro in grado degli agenti in servizio, al momento dell’attacco, diede ordine agli altri suoi agenti di sganciarsi e rimase arma in pugno a coprirne la fuga, permettendo di salvare vite umane, ed a comunicare informazioni di quanto stava accadendo alle forze di polizia afghana. Morì freddato con tre colpi d’arma da fuoco alla schiena, nell’attacco in cui persero la vita 16 persone.
Il Capo della polizia afghana, dichiarò all’epoca dei tragici fatti, come l’eroismo di Colazzo, guidò i reparti speciali via telefono, fornendo informazioni precise e permettendo di salvare altri quattro italiani.