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    “Smettere di dire: non ce la faccio”: uno sguardo sulla Terapia Occupazionale

    Oggi, 27 ottobre, è la giornata mondiale della Terapia Occupazionale, una disciplina riabilitativa in grado di poter donare di nuovo autonomia e stimolare pazienti che, a causa o di patologie o di eventi traumatici, pensano di non avere più una seconda possibilità di vita.

    Ci ha fornito un quadro introduttivo sulla materia Francesca Amato, studentessa al terzo anno di Terapia Occupazionale presso L’Università La Sapienza di Roma:

    Come spiegheresti la TO a una persona che non la conosce?

    Questa disciplina nasce negli Stati Uniti dopo la prima guerra mondiale, ma è arrivata in Italia solo negli anni ’70. La nostra figura ha avuto come prima area di intervento il manicomio e poi si è inserita nelle varie branche della medicina, dalla neurologia alla riabilitazione dell’età evolutiva.

    Cosa fa il terapista occupazionale?

    Dipende dal settore in cui opera, ma il suo scopo principale è quello di far raggiungere la più alta autonomia possibile in base alla propria patologia. Ogni paziente è diverso, ma ognuno di loro ha delle priorità: dal potersi vestire da solo al fare sport e avere vita sociale. Noi ci facciamo carico di questi bisogni e necessità e li traduciamo in obbiettivi raggiungibili.

     

    Nella riabilitazione di un paziente quanto conta la motivazione psicologica?

    Nel nostro lavoro è fondamentale. Quando non si è incentivati al recupero molto spesso l’iter riabilitativo diventa più lungo e gravoso, non solo per il paziente, ma anche per chi “addestriamo” a prendersene cura.

     

    In che senso, “addestriamo”?

    Il lavoro del terapista occupazionale non si limita soltanto alle strutture sanitarie: aiutiamo i nostri assistiti anche a casa, nell’eliminazione delle barriere architettoniche, nel cambiamento funzionale dell’assetto domestico o per personalizzare in base alle loro esigenze un ausilio, come ad esempio la carrozzina.

     

    Qual è la soddisfazione più grande che può dare questo lavoro?

    Quando si entra in contatto con queste realtà ci si rende conto che alcune delle attività che compiamo ogni giorno, dal fare il caffè, al vestirsi, raggiungere il luogo di lavoro oppure praticare uno sport, non sono così banali come pensiamo. Per loro diventa quasi una vittoria personale, il raggiungimento di uno scopo che sembrava ormai lontano e impossibile.

     

    Facciamo gli auguri a tutti i professionisti (e futuri terapisti) che in questo giorno hanno espresso l’amore per il proprio lavoro in alcuni video contest inviati su pagine Facebook come “La terapia occupazionale ti cambia la vita”, creata dalla studentessa Veronica Bona. Spesso il medico è in grado di salvare una vita, ma è il terapista occupazionale a far sì che valga la pena viverla al meglio delle possibilità di ognuno.

    Giorgia Golia

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