SPAGNA- Dopo l’avventura scozzese, anche i catalani lo scorso 9 novembre hanno utilizzato la modalità del referendum per saggiare le opinioni della popolazione su un progetto indipendentista. La Catalunya o Catalogna, una delle comunità autonome più fiere del proprio retaggio linguistico e culturale, ha sempre mantenuto una distinzione netta tra le proprie istituzioni e il governo centrale di Madrid.
Passeggiando tra le Ramblas di Barcellona, capoluogo della regione, si poteva già notare, sulle facciate dei palazzi istituzionali, lo sventolio della senyera, la bandiera catalana, accanto a quella spagnola, e l’uso corrente del catalano al posto della lingua ufficiale spagnola, il castigliano; ma oggi le rivendicazioni del movimento Catalanista, fondato nel 1880, si sono spinte oltre.
Le domande a cui si doveva rispondere erano due: la prima riguardava l’ipotesi di trasformare la Catalogna in una nazione, la seconda di poterle concedere l’indipendenza. In una conferenza stampa a Barcellona Joana Ortega, vicepresidente della Generalitat, ha detto che il sì alla prima seguito dal no alla seconda domanda ha ottenuto il 10,11% dei voti, il doppio no il 4,55% e le schede bianche sono state il 9,56%.
I risultati della consultazione simbolica, a cui ha partecipato l’80,72% dei votanti, vedono l’81% dei catalani favorevoli all’indipendenza e all’indomani di questo risultato il governo centrale di Madrid ha già bollato il procedimento come illegale. Nonostante ciò il presidente della Generalitat Artur Mas ha dichiarato che questo è solo il primo passo verso “la consultazione definitiva e politicamente vincolante sull’indipendenza della Catalogna”. L’alta percentuale di voti a favore, tuttavia, ha posto in essere una nuova e preoccupante questione: gli indipendentisti sono più numerosi di quanto si pensa?